Massima Sentenza

“...Al riguardo, si è ribadito in giurisprudenza che, in materia di partecipazione alle gare pubbliche, i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali sono un semplice parametro di valutazione della congruità dell’offerta, sì che l’eventuale scostamento delle voci di costo da quelle riassunte nelle tabelle non legittima in sé un giudizio di anomalia o di incongruità (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4753/2021). Bisogna, quindi, distinguere “il concetto di “minimi salariali” (cd. trattamento retributivo minimo), da quello di “costo orario medio del lavoro”; soltanto per il primo, in caso di sua violazione, vale la sanzione dell’esclusione dell’offerta stabilita dall’art. 97, comma 5, del D. Lgs. n. 50/2016, in quanto l’offerta che non rispetti i suddetti minimi salariali è considerata ex lege anormalmente bassa....”

TAR Campania Napoli, Sez. V, 04.12.2023, n. 6670


Differenza tra minimi salariali e costo orario medio del lavoro.

“…Per consolidata giurisprudenza (T.A.R. Lombardia, Milano, n. 63/2017) il giudizio di congruità non è diretto ad evidenziare singole inesattezze dell’offerta (la c.d. “caccia all’errore”), ma mira ad accertare se l’offerta nel suo complesso sia attendibile ed affidabile e, dunque, se sia o meno in grado di offrire serio affidamento circa la corretta esecuzione della prestazione richiesta (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2186/2015; Sez. V, n. 1565/2015).

Pur restando fermo il principio per cui in un appalto l’offerta, una volta presentata, non è suscettibile di modificazione – pena la violazione della par condicio tra i concorrenti – ciò non toglie che, avendo la verifica di anomalia, così come quella di congruità, la finalità di stabilire se l’offerta sia, nel suo complesso e nel suo importo originario, affidabile o meno, il giudizio di anomalia deve essere complessivo e deve tenere conto di tutti gli elementi, sia di quelli che militano a favore, sia di quelli che militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo insieme.

Ebbene, nel caso in esame non è stata comprovata una complessiva incongruenza dell’offerta del raggruppamento aggiudicatario e neppure è stato dimostrato, in sede di giustificazioni, uno scostamento dell’importo indicato come costo della manodopera in sede di offerta. A tale proposito, occorre dare atto che l’eventuale riconducibilità del rimborso del costo dei lavoratori volontari alle spese generali (come ritenuto dalla istante) – anziché al costo della manodopera – non condurrebbe ad una modifica sostanziale dell’entità economica dell’offerta, trattandosi di diversa imputazione degli oneri che confluiscono nell’offerta economica di cui, giova ribadire, non è stata allegata la insostenibilità. Sul punto, giova richiamare l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui le giustificazioni fornite dall’operatore possono risolversi anche nell’indicazione di una diversa stima di un costo già indicato in precedenza, sempre che la modifica e/o lo diversa stima del costo non si risolvano in un espediente elusivo delle regole di gare poste a pena di esclusione oppure nella violazione della par condicio e sempre che si giunga ad un giudizio di attendibilità della dichiarazione resa e di congruità dell’offerta (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5644/2021 e n. 1071/2020).

In ogni caso, va affermato che è perfettamente legittimo l’uso del personale volontario che rientra nella libertà imprenditoriale di organizzazione del lavoro e – sotto distinto profilo – si palesa inconferente il precedente giurisprudenziale citato in atti (T.A.R. Puglia, Lecce, n. 1584/2021) che, invero, ha riguardato una diversa fattispecie (esclusione dal costo della manodopera dei compensi dovuti ai lavoratori autonomi eventualmente impiegati dall’aggiudicataria).

Proseguendo nell’esame dei motivi di ricorso, rileva la Sezione che la discrasia tra importi indicati dall’aggiudicataria e costo medio della manodopera non inficia la legittimità dell’aggiudicazione.

Al riguardo, si è ribadito in giurisprudenza che, in materia di partecipazione alle gare pubbliche, i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali sono un semplice parametro di valutazione della congruità dell’offerta, sì che l’eventuale scostamento delle voci di costo da quelle riassunte nelle tabelle non legittima in sé un giudizio di anomalia o di incongruità (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4753/2021).

Bisogna, quindi, distinguere “il concetto di “minimi salariali” (cd. trattamento retributivo minimo), da quello di “costo orario medio del lavoro”; soltanto per il primo, in caso di sua violazione, vale la sanzione dell’esclusione dell’offerta stabilita dall’art. 97, comma 5, del D. Lgs. n. 50/2016, in quanto l’offerta che non rispetti i suddetti minimi salariali è considerata ex lege anormalmente bassa.

Le tabelle redatte dal Ministero competente, di contro, esprimono un costo del lavoro medio ricostruito su basi statistiche, per cui esse non rappresentano un limite inderogabile per gli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici, ma solo un parametro di valutazione della congruità dell’offerta, con la conseguenza che lo scostamento da esse, specie se di lieve entità, non legittima di per sé un giudizio di anomalia. (T.A.R. Piemonte, n. 754/2020)..."

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