Dai principi fin qui esposti discende che, ove la ricorrente avesse voluto sostenere la conformità dei relativi armadi compattabili alle prestazioni e ai requisiti funzionali “realmente” previsti dell’amministrazione aggiudicatrice ovvero la conformità, per equivalente, ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche di cui al Capitolato, la stessa avrebbe dovuto partecipare alla gara e non già limitarsi ad impugnare i relativi atti di indizione.

TAR Lazio Roma, Sez. II Quater, 10.03.2023, n. 4169

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Ed invero, per come desumibile dal complessivo tenore dell’art. 68 D.lgs. n. 50/2016, sia in ipotesi di specifiche “in termini di prestazioni o di requisiti funzionali” (art. 68 comma 3, lett. a)che “mediante il riferimento a specifiche tecniche” (art. 68 comma 3 lett. b), le amministrazioni aggiudicatrici – a prescindere dall’inserimento nella lex specialis della cd. “clausola di equivalenza” – non possono, comunque, dichiarare inammissibile o escludere un’offerta, se il concorrente dimostra che le soluzioni proposte ottemperino alle prestazioni e ai requisiti funzionali dell’amministrazione aggiudicatrice ovvero ottemperino, in maniera equivalente, ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche.

Anche in considerazione del tenore letterale nonché della ratio della previsione normativa in parola, in base ad un condivisibile orientamento giurisprudenziale “il principio di equivalenza trova applicazione indipendentemente da espressi richiami negli atti di gara o da parte dei concorrenti, in tutte le fasi della procedura di evidenza pubblica; l’art. 68, comma 7, d.lg. n. 50 del 2016 non onera i concorrenti di un’apposita formale dichiarazione circa l’equivalenza funzionale del prodotto offerto, potendo la relativa prova essere fornita con qualsiasi mezzo appropriato; la commissione di gara può effettuare la valutazione di equivalenza anche in forma implicita, ove dalla documentazione tecnica sia desumibile la rispondenza del prodotto al requisito previsto dalla lex specialis” (così Consiglio di Stato sez. III, 09/06/2022, n.4721; Ed ancora: “al fine di scongiurare l’esclusione dalla gara d’appalto, il partecipante che intenda avvalersi della clausola di equivalenza prevista dall’ art. 68, d.lgs. n. 50/2016, ha l’onere di dimostrare già nella propria offerta l’equivalenza tra i servizi o tra i prodotti, non potendo pretendere che tale accertamento sia compiuto d’ufficio dalla Stazione appaltante o, addirittura, che sia demandato alla sede giudiziaria una volta impugnato l’esito della gara”.

Proprio questo Tribunale ha più volte sostenuto che, “benché il principio dell’equivalenza permei l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, rispondendo lo stesso al principio del favor partecipationis e costituendo, altresì, espressione del legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte della P.A., nondimeno anche l’ampia latitudine riconosciuta al canone di equivalenza non ne consente, tuttavia, l’estensione all’ipotesi, esulante dal campo applicativo della stessa, di difformità del bene rispetto a quello descritto dalla lex specialis, configurandosi in tal caso un’ipotesi di aliud pro alio non rimediabile”, quale è quello che, nella fattispecie in esame, la ricorrente avrebbe voluto, dall’esterno, ovvero non partecipando alla gara, “imporre” all’amministrazione.

Pertanto, prosegue il T.A.R., “L’operatore che intenda avvalersi del principio dell’equivalenza (suscettibile di trovare applicazione indipendentemente da un espresso richiamo negli atti di gara) deve, dunque, fornirne la prova già in sede di gara, non potendo essa essere verificata d’ufficio dalla stazione appaltante né tantomeno dimostrata in via postuma in sede giudiziale» (così T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 18/10/2022, n. 13303; Consiglio di Stato, Sezione V, n. 3489/2019 cfr. anche, sez. III, 14/06/2022, n. 7874).

10.1 Dai principi fin qui esposti discende che, ove la ricorrente avesse voluto sostenere la conformità dei relativi armadi compattabili alle prestazioni e ai requisiti funzionali “realmente” previsti dell’amministrazione aggiudicatrice ovvero la conformità, per equivalente, ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche di cui al Capitolato, la stessa avrebbe dovuto partecipare alla gara e non già limitarsi ad impugnare i relativi atti di indizione.

Ciò nella misura in cui tali atti, a differenza di quanto sostenuto in ricorso e proprio in considerazione dell’immanente operatività della cd. clausola di equivalenza, non le inibivano affatto di concorrere, in condizioni di parità, con gli altri operatori economici…”

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