Poiché l’amministrazione resistente avrebbe dovuto approfondire le ragioni poste alla base dell’istanza di revisione dei prezzi della ricorrente, per accertare se esse potessero essere sussunte nel disposto dell’art. 106, comma 1, let. c, del d.lgs. 50/16, il ricorso è fondato e deve essere accolto, con conseguente obbligo dell’amministrazione procedente di riesaminare l’istanza della ricorrente e di concludere il procedimento con un provvedimento congruamente motivato entro il termine di 60 giorni decorrenti dalla data della comunicazione in via amministrativa della presente decisione o, se anteriore, da quella della sua notificazione ad istanza di parte.

TAR Lombardia Brescia, Sez. I, 24.02.2023, n. 160

E’ onere della stazione appaltante valutare l’istanza di rinegoziazione del contratto? TAR Piemonte, Sez. II, 20.02.2023, n. 180

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4. Il 26 gennaio 2022 la ricorrente ha rappresentato all’A.S.S.T. di Cremona la necessità di variare contratto a causa dell’imprevisto aumento dei costi mentre, il successivo 24 febbraio, ha chiesto l’adeguamento dei corrispettivi in misura pari all’incremento registrato dall’indice FOI, con decorrenza 1° dicembre 2021.

5. Il 15 marzo 2022 l’amministrazione resistente ha respinto tale ultima istanza perché, a suo dire, non solo l’aumento del costo del lavoro non rappresenterebbe una circostanza eccezionale e imprevedibile ma anche perché nessun documento di gara prevederebbe, in modo chiaro e inequivocabile, la possibilità di procedere ad una revisione dei prezzi.

6. Con ricorso, notificato il 13 maggio 2022 e depositato il successivo 18 maggio, la ricorrente ha impugnato il provvedimento de quo chiedendone l’annullamento perché asseritamente illegittimo.

7. In prossimità dell’udienza di merito le parti hanno depositato documenti, memorie conclusionali e di replica nei termini di rito.

8. All’udienza pubblica, svoltasi in data 8 febbraio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. 

9. Con il proprio ricorso la ricorrente sostiene, in primo luogo, che, al contrario di quanto asserito dall’amministrazione resistente, gli atti di gara prevedrebbero espresamente la possibilità revisionare i prezzi; inoltre, sempre a suo dire, il provvedimento impugnato sarebbe affetto da difetto di motivazione e di istruttoria perché si sarebbe limitato a respingere l’istanza facendo ricorso a mere clausole di stile.

La ricorrente ha, infine, formulato un’istanza di rimessione alla Corte Costituzionale perché, qualora non si ritenesse applicabile l’istituto della revisione dei prezzi all’ipotesi in esame, le disposizioni che prevedrebbero delle misure compensative per i soli appalti di lavoro contrasterebbero con i principi costituzionali di uguaglianza e di libertà di iniziativa economica, di cui agli artt. 3 e 41 Cost.

10. Il ricorso è fondato negli stretti limiti che verranno indicati.

Come noto, al contrario previgente codice deli contratti pubblici, il d.lgs. n. 50/2016 non ha imposto alle stazioni appaltanti l’obbligo di inserire nei propri contratti una clausola di revisione periodica dei prezzi ma ha raggruppato, nell’art. 106, tutte le ipotesi in cui è possibile ricorrervi. 

Nello specifico, tale facoltà è concessa:

– qualora siano «state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili» (art. 106, comma 1, let a);

– in caso di un aumento della prestazione dell’appaltatore, a cui deve corrispondere anche una diversa controprestazione economica della P.A. (art. 106, comma 1, let. b);

– al verificarsi di “circostanze impreviste ed imprevedibili” purché non venga alterata “la natura generale del contratto” (art. 106, comma 1, let. c);

– in caso di modifica soggettiva dell’esecutore (art. 106, comma 1, let. d).

Il quadro così delineato è stato in parte modificato dalla legislazione emergenziale: in particolare il d.l. n. 73/21 (convertito con legge n. 106/2021) ha introdotto, all’art. 1-septies, per i soli appalti di lavori e al solo fine di mitigare gli effetti dell’eccezionale aumento dei prezzi di alcuni materiali da costruzione, un meccanismo di compensazione a favore delle imprese appaltatrici di opere pubbliche, qualora siano state registrate delle variazioni dei prezzi superiori all’8%, soglia che è stata ridotta al 5% con il d.l. n. 4/2022 (convertito con legge 25/2022) che ha, altresì, previsto, all’art. 29, l’obbligo, fino al 31 dicembre 2023, di inserire nei documenti di gara di tutte le procedure indette successivamente alla data di entrata in vigore del decreto (27 gennaio 2022), le clausole di revisione del prezzo previste dall’art. 106 comma 1, lett. a).

Il legislatore è nuovamente intervenuto sugli appalti di lavori con l’art. 7 del d.l. 36/2022 (conv. in l.n. 79/2022), il quale sancisce, al comma 2-ter, che «l’articolo 106, comma 1, lettera c), numero 1), del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, si interpreta nel senso che tra le circostanze indicate al primo periodo sono incluse anche quelle impreviste ed imprevedibili che alterano in maniera significativa il costo dei materiali necessari alla realizzazione dell’opera», legittimando, così, la possibilità di porre in essere una variante in corso d’opera, esclusivamente per far fronte alle variazioni in aumento dei costi dei materiali da costruzione.

Infine, con il d.l. n. 50/2022 (convertito con legge 91/22), è stato riconosciuto il rimborso, per i soli appalti di lavori, degli aumenti sostenuti dall’appaltatore sulla base dei prezziari regionali di cui all’art. 23, comma 16 d.lgs. 50/2016.

Siccome, quindi, eccezion fatta per l’art. 29 del d.l. 4/2022, che, però, non è applicabile al caso di specie, gli interventi normativi sono stati circoscritti esclusivamente agli appalti di lavori, è attualmente impossibile modificare i contratti di servizi al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 106 del codice dei contratti pubblici.

Ciò posto, il Collegio reputa corretta l’impostazione dell’A.S.S.T. di Crema nella parte in cui ha ritenuto di non poter procedere ad una revisione dei prezzi ex art. 106, comma 1, let. a del codice dei contratti pubblici perché i documenti di gara non prevedono in modo chiaro, preciso e inequivocabile tale possibilità. Essa non può, infatti, essere desunta dall’art. 2.3. della lettera di invito, la cui equivocità ha dato luogo a interpretazioni discordanti tra le parti né dall’art. 5, comma 2, dello schema di accordo quadro o dall’art. 13.1 del capitolato d’oneri, in quanto essi prevedono, in modo pressoché analogo, la possibilità di aggiornare i prezzi solamente nel periodo compreso tra la data di aggiudicazione dell’accordo quadro e la data di indizione dei vari appalti specifici e solo dopo il secondo anno dalla stipula dell’accordo.

Il Collegio non condivide invece la posizione dell’amministrazione circa l’impossibilità di sussumere l’istanza della ricorrente nel novero delle circostanze impreviste e imprevedibili contemplate dall’art. 106, comma 1, let c, del d.lgs. 50/16 posto che, nonostante sia vero che per giurisprudenza consolidata «l’aumento del costo del lavoro costituisce elemento del tutto fisiologico nei contratti di durata, con la conseguenza che l’imprenditore diligente e accorto è tenuto a considerare tale fattore in sede di partecipazione alla gara, in modo da evitare di trovarsi esposto al rischio di riduzione dell’utile ipotizzato, in funzione di una sopravvenienza del tutto prevedibile al momento della formulazione dell’offerta» (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 22 giugno 2022, n. 1036) è altrettanto vero che le considerazioni della ricorrente (secondo cui gli aumenti sarebbero determinati, oltre che dal prevedibile rinnovo del contratto collettivo e dalle altrettanto fisiologiche fluttuazioni dei prezzi delle materie prime anche, e soprattutto, dalla grave emergenza pandemica) avrebbero dovuto essere adeguatamente approfondite dall’amministrazione resistente, la quale, al contrario, si è limitata ad asserire che «fra le circostanze eccezionali e imprevedibili, idonee a giustificare l’adeguamento dei prezzi oltre la misura dell’indice FOI, non può essere ricompreso l’aumento del costo del lavoro conseguente alla stipula di un nuovo contratto collettivo, perché evento quest’ultimo soggetto a un apprezzabile grado di probabilità, che l’operatore può considerare nel momento di formulare l’offerta», senza prendere in considerazione né l’aumento dei prezzi delle materi né l’incidenza dell’emergenza sanitaria sugli aumenti.

A ciò si aggiunga che l’amministrazione procedente ha inspiegabilmente sancito l’impossibilità di procedere ad una revisione dei prezzi in misura superiore a quanto indicato dall’indice FOI quando, invece, la ricorrente aveva espressamente richiesto un adeguamento commisurato a detto indice.

11. In conclusione, poiché l’amministrazione resistente avrebbe dovuto approfondire le ragioni poste alla base dell’istanza di revisione dei prezzi della ricorrente, per accertare se esse potessero essere sussunte nel disposto dell’art. 106, comma 1, let. c, del d.lgs. 50/16, il ricorso è fondato e deve essere accolto, con conseguente obbligo dell’amministrazione procedente di riesaminare l’istanza della ricorrente e di concludere il procedimento con un provvedimento congruamente motivato entro il termine di 60 giorni decorrenti dalla data della comunicazione in via amministrativa della presente decisione o, se anteriore, da quella della sua notificazione ad istanza di parte.

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