Massima Sentenza
“… il compenso determinato dall’Amministrazione ai sensi del D.M. 17 giugno 2016 non sarebbe suscettibile di ribasso dall’operatore economico, trattandosi di “equo compenso” il cui ribasso si risolverebbe, essenzialmente, in una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico gravato da una nullità ‘di protezione’ e contrastante con una norma imperativa. Nondimeno, trattandosi di una delle plurime componenti del complessivo “prezzo” quantificato dall’Amministrazione, l’operatività del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo, risulterebbe fatta salva in ragione della libertà, per l’operatore economico, di formulare la propria offerta economica ribassando le voci estranee al compenso, ossia le spese e gli oneri accessori. Inoltre, l’operatore economico che, in virtù della sua organizzazione d’impresa, dovesse ritenere di poter ribassare componenti accessori del prezzo (ad esempio le spese generali), potrà avvantaggiarsi di tale capacità nell’ambito del confronto competitivo con gli altri partecipanti alla gara, fermo restando il dovere dell’Amministrazione di sottoporre a controllo di anomalia quelle offerte non serie o che, per la consistenza del ribasso offerto su componenti accessorie del prezzo, potranno apparire in buona sostanza abusive, ossia volte ad ottenere un vantaggio indebito traslando su voci accessorie il ribasso economico che, in mancanza della legge n. 49/2023, sarebbe stato offerto sui compensi. Posti questi principi, è da rilevare che l’offerta della ricorrente appare in linea con quanto richiesto dalla normativa attuale che permette di ribassare le sole “spese e oneri accessori” ma non il “compenso”, non ravvisandosi alcun vincolo normativo che potesse impedire al concorrente di effettuare un ribasso del 100% sulle voci cui la stessa stazione appaltante permetteva il ribasso...”
“…Infatti, la stazione appaltante ha ritenuto che il ribasso effettuato dalla ricorrente ledesse la normativa sull’equo compenso prevista dalla l. n. 49/2023.
Per la l. n. 49/2023 “per equo compenso si intende la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente: … b) per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27” (art. 1).
Per l’art. 2, comma 3, “le disposizioni della presente legge si applicano altresì alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione e delle società disciplinate dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175” e per l’art. 3, comma 1, “Sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera; sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale, o ai parametri determinati con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, per la professione forense, o ai parametri fissati con il decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), della presente legge”.
La giurisprudenza amministrativa si è interrogata sui rapporti tra la normativa sull’equo compenso di cui alla l. n. 49/2023 e le procedure di gara dirette all’affidamento di servizi di ingegneria e architettura.
In particolare, la sentenza n. 483/2024 del TAR Reggio Calabria, ha ricostruito approfonditamente i contrapposti orientamenti.
<<Su tale questione, come è noto, all'indomani dell'entrata in vigore della L. 21 aprile 2023, n. 49 sono andati profilandosi nelle prime prassi applicative due contrapposti orientamenti interpretativi, sostenendosi, da un parte, l'assenza di antinomia tra la legge n. 49/2023 e la disciplina dei contratti pubblici, con conseguente piena operatività delle previsioni dettate dalla prima anche nel campo dell'evidenza pubblica; e affermandosi, in senso opposto, dall'altra parte, l'incompatibilità tra i due sistemi normativi, con esclusione dell'applicazione delle regole del c.d. ‘equo compenso' alle procedure di gara regolate dal codice dei contratti pubblici.
10.1. In sintesi, a fondamento della prima tesi (riconducibile a TAR Veneto, sez. III, 3 aprile 2024, n. 632 e TAR Lazio, sez. V ter, 30 aprile 2024, n. 8580), è stata valorizzata, anzitutto, la previsione contenuta nell'art. 8 del d.lgs. n. 36/2023, là dove, oltre a sancirsi il divieto, salvo casi eccezionali, di prestazioni d'opera intellettuale a titolo gratuito, è stato imposto, in via generale, alla pubblica amministrazione di "garantire comunque l'applicazione del principio dell'equo compenso".
Richiamata la ratio sottesa alla L. n. 49/2023 - individuata nell'esigenza di tutelare i professionisti nell'ambito dei rapporti d'opera professionale in cui essi si trovino nella posizione di "contraenti deboli" -, l'orientamento in questione ha, inoltre, desunto ulteriori elementi a sostegno della sua applicabilità al settore dell'evidenza pubblica dall'interpretazione letterale ed analogica delle relative disposizioni, stante, in primis, l'espressa previsione della relativa operatività anche nei confronti della pubblica amministrazione. Sotto questo angolo visuale, i sostenitori di tale tesi hanno affermato che diversamente opinando l'intervento normativo in questione risulterebbe privo di reale efficacia sul mercato delle prestazioni d'opera intellettuale, rappresentando i rapporti contrattuali tra i professionisti e la Pubblica Amministrazione nel mercato del lavoro attuale una percentuale preponderante del totale dei rapporti contrattuali conclusi per le prestazioni di tale tipologia.
Né, poi, potrebbe concordarsi con l'obiezione secondo cui l'applicabilità della legge n. 49/2023 al settore dell'evidenza pubblica precluderebbe, di fatto, l'impiego del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa in ragione del rapporto qualità/prezzo in quanto le gare per servizi di architettura o di ingegneria dovrebbero essere strutturate e aggiudicate sulla base di un "prezzo fisso" non ribassabile, individuato dalla stessa P.A. come corrispettivo posto a base di gara, con competizione limitata alla sola componente tecnica dell'offerta e, quindi, con una evidente compromissione della libera contrattazione, del confronto competitivo tra operatori economici e dei principi comunitari in materia di libertà di circolazione, di stabilimento e di prestazione di servizi.
Ed infatti, il compenso del professionista costituirebbe soltanto una delle componenti del "prezzo" determinato dall'Amministrazione come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare alle "spese ed oneri accessori". L'Amministrazione sarebbe, dunque, chiamata a quantificare tali voci in applicazione del D.M. 17 giugno 2016 per individuare l'importo complessivo da porre a base di gara; al tempo stesso, la voce "compenso", individuata con tale modalità come una delle voci che costituiscono il prezzo, sarebbe da qualificare anche come compenso ‘equo' ai sensi della legge n. 49/2023, che, sotto tale aspetto, stabilisce che è equo il compenso dell'ingegnere o architetto determinato con l'applicazione dei decreti ministeriali adottati ai sensi dell'art. 9 D.L. 24 gennaio 2012, n. 1.
Ne deriva che il compenso determinato dall'Amministrazione ai sensi del D.M. 17 giugno 2016 non sarebbe suscettibile di ribasso dall'operatore economico, trattandosi di "equo compenso" il cui ribasso si risolverebbe, essenzialmente, in una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico gravato da una nullità ‘di protezione' e contrastante con una norma imperativa.
Nondimeno, trattandosi di una delle plurime componenti del complessivo "prezzo" quantificato dall'Amministrazione, l'operatività del criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo, risulterebbe fatta salva in ragione della libertà, per l'operatore economico, di formulare la propria offerta economica ribassando le voci estranee al compenso, ossia le spese e gli oneri accessori.
Tale conclusione, oltre ad assicurare la coerente e coordinata applicazione dei due testi normativi, consentirebbe, sotto un diverso profilo, di escludere che la legge n. 49/2023 produca effetti anti concorrenziali o in contrasto con la disciplina dell'Unione Europea, rappresentando, piuttosto, il divieto di presentazione di offerte economiche al ribasso sulla componente del prezzo costituita dai "compensi" una tutela per i professionisti, a prescindere dalla loro nazionalità, in quanto "permetterà loro di conseguire un corrispettivo equo e proporzionato anche da un contraente forte quale è la Pubblica Amministrazione e anche in misura superiore a quella che sarebbero stati disposti ad accettare per conseguire l'appalto" (TAR Veneto, n. 632/2024 cit).
Inoltre, l'operatore economico che, in virtù della sua organizzazione d'impresa, dovesse ritenere di poter ribassare componenti accessori del prezzo (ad esempio le spese generali), potrà avvantaggiarsi di tale capacità nell'ambito del confronto competitivo con gli altri partecipanti alla gara, fermo restando il dovere dell'Amministrazione di sottoporre a controllo di anomalia quelle offerte non serie o che, per la consistenza del ribasso offerto su componenti accessorie del prezzo, potranno apparire in buona sostanza abusive, ossia volte ad ottenere un vantaggio indebito traslando su voci accessorie il ribasso economico che, in mancanza della legge n. 49/2023, sarebbe stato offerto sui compensi.
Dal carattere ‘inderogabile' del compenso ‘equo' determinato dall'applicazione dei citati parametri normativi, e dunque dalla natura imperativa delle previsioni contenute nella L. n. 49/2023 - che stabiliscono la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all'opera prestata -, conseguirebbe, poi, l'eterointegrazione delle disposizioni di gara che, in via difforme, dovessero consentire la ribassabilità della componente in questione, trattandosi di profilo sottratto alla libera disponibilità delle stazioni appaltanti.
Diversamente opinando si correrebbe d'altronde il rischio di una pericolosa ‘eterogenesi dei fini', posto che il professionista concorrente potrebbe essere tentato di abusare della nullità di protezione in questione, volutamente presentando un'offerta inferiore ai minimi, per così ottenere l'aggiudicazione e, una volta stipulato il contratto far valere la nullità parziale al fine di attivare il "meccanismo" di cui al comma 6 dell'art. 3, ai sensi del quale "il tribunale procede alla rideterminazione secondo i parametri previsti dai decreti ministeriali di cui al comma 1 relativi alle attività svolte dal professionista, tenendo conto dell'opera effettivamente prestata e chiedendo, se necessario, al professionista di acquisire dall'ordine o dal collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso o degli onorari". Ciò che comporterebbe, peraltro, l'aggiramento del principio di tendenziale immutabilità dell'offerta anche in sede di esecuzione del contratto.
10.2. Secondo l'opposta tesi, propugnata in ragione dell'incertezza del quadro normativo di riferimento dalla stessa Anac con la delibera n. 101 del 28.02.2024 e di recente sostenuta con approfondite argomentazioni da TAR Campania, Salerno, sez. II, 16 luglio 2024, n. 1494, al contrario, la predicata eterointegrazione della disciplina di gara con quella sull'equo compenso professionale sconterebbe "... i limiti intrinseci ed estrinseci di compatibilità o sovrapponibilità dei due impianti normativi (d.lgs. n. 36/2023 e l. n. 49/2023), che incidono su campi di materie e rispondono a finalità tra loro non perfettamente coincidenti ed omogenee".
Ed infatti, il regime dell'equo compenso non derogherebbe, bensì integrerebbe "il sistema dei contratti pubblici, senza frustrarne la sostanza proconcorrenziale di derivazione euro-unitaria (artt. 49, 56, 101 TFUE, 15 della dir. 2006/123/CE), e, quindi, senza elidere in radice la praticabilità del ribasso sui corrispettivi professionali, la cui determinazione non è da intendersi rigidamente vincolata a immodificabili parametri tabellari, ma la cui congruità (in termini di equilibrio sinallagmatico) rimane, in ogni caso, adeguatamente assicurata dal modulo procedimentale di verifica all'uopo codificato, quale, appunto, quello dell'anomalia dell'offerta con riferimento al ribasso praticato sul corrispettivo dei servizi di progettazione". In altri termini, il Codice dei contratti pubblici, tramite il subprocedimento di verifica di anomalia delle offerte, appresterebbe "meccanismi idonei ad evitare che le prestazioni professionali siano rese a prezzi incongrui, consentendo, nel contempo, alle amministrazioni di affidare gli appalti a prezzi più competitivi".
Sul piano positivo, d'altro canto, occorre considerare che la legge n. 49/2023, entrata in vigore il 20 maggio 2023 e, quindi, successiva al Codice, non risulta aver derogato espressamente allo stesso, come richiesto dall'art. 227, da ciò desumendosi un indice testuale particolarmente pregnante nel senso della relativa inapplicabilità al settore degli appalti pubblici.
Inoltre, anche il codice dei contratti pubblici già perseguirebbe la finalità sottesa alla legge n. 49/2023, pur dovendo naturalmente orientarsi nel rispetto del diritto europeo e dei principi generali in esso declinati, oltre che con modalità adeguate al meccanismo della gara pubblica.
In tale ottica andrebbero precipuamente lette le disposizioni di seguito richiamate: l'art. 8, comma 2, il quale prevede che la pubblica amministrazione garantisce l'applicazione del principio dell'equo compenso; l'articolo 41, comma 15, che fissa la modalità per l'individuazione dei corrispettivi da porre a base di gara facendo riferimento alle tabelle contenute nell'allegato I. 13; l'art. 108, comma 2, là dove individua, quale criterio di aggiudicazione per i servizi tecnici di importo pari o superiore a 140.000,00 euro quello del miglior rapporto qualità-prezzo, garantendo un'adeguata valutazione dell'elemento qualitativo. Nella stessa direzione andrebbe letta la previsione relativa all'applicazione di specifici meccanismi volti a scongiurare la presentazione di offerte eccessivamente basse e, quindi, non sostenibili (la disciplina sull'anomalia dell'offerta, la possibilità di prevedere un'appropriata ponderazione tra punteggio qualitativo ed economico, la possibilità di utilizzare formule per il punteggio economico che disincentivino eccessivi ribassi).
Così interpretato, il quadro normativo di riferimento risulterebbe, dunque, coerente sia a livello nazionale che a livello europeo. Sotto quest'ultimo profilo occorre considerare che "l'art. 3, comma 3, della legge n. 49/2023 fa salve dalla sanzione della nullità le clausole che prevedono l'applicazione di compensi inferiori ai minimi tabellari in quanto riproduttive di disposizioni di legge (tra cui rientrano le disposizioni comunitarie e nazionali in materia di contratti pubblici) o attuative di principi europei (tra cui il principio di concorrenza)".
Proprio in relazione a quest'ultimo profilo, nell'ambito di questa diversa ricostruzione si è ancora evidenziato che la previsione di tariffe minime non soggette a ribasso rischierebbe "di porsi in contrasto con il diritto euro-unitario, che impone di tutelare la concorrenza. Come chiarito dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 4 luglio 2019, causa C-377/2017, infatti, in materia di compensi professionali, l'indicazione delle tariffe minime e massime è vietata in quanto incompatibile con il diritto dell'Unione Europea, ma sono comunque ammesse deroghe per motivi di interesse pubblico, come la tutela dei consumatori, la qualità dei servizi e la trasparenza dei prezzi" (posizione confermata dalla successiva sentenza del 25/1/2024, causa C-438/2022 secondo cui le tariffe minime relative al compenso professionale degli avvocati devono essere disapplicate in quanto contrastanti con il principio di concorrenza).
A suffragare la tesi dell'incompatibilità tra i due sistemi normativi deporrebbe, inoltre, il rilievo che legge n. 49/2023 sarebbe applicabile ai rapporti professionali aventi ad oggetto "prestazioni d'opera intellettuale di cui all'art. 2230 c.c. (contratto d'opera caratterizzato dall'elemento personale nell'ambito di un lavoro autonomo) e, più in generale, a tutti quei rapporti contrattuali caratterizzati dalla posizione dominante del committente, in cui è necessario ripristinare l'equilibrio sinallagmatico"; laddove, invece, i contratti pubblici aventi ad oggetto la prestazione di servizi di ingegneria e architettura sarebbero "normalmente riconducibili ai contratti di appalto ex art. 1655 c.c., con cui una parte assume l'organizzazione dei mezzi necessari e la gestione a proprio rischio".
Inoltre, la concorrenza sul prezzo, in ogni sua componente, rappresenterebbe un elemento essenziale per il corretto dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali delle gare pubbliche, sicché "l'eventuale limitazione alle sole spese generali o all'elemento qualitativo rischierebbe di introdurre di fatto una barriera all'ingresso per gli operatori, più giovani, meno strutturati e di minore esperienza".
Rilievo determinante assumerebbe, infine, la circostanza che l'applicazione dell'art. 3, comma 5, della richiamata legge n. 49/2023, là dove ammette il ricorso al giudice civile per contestare l'affidamento ad un prezzo inferiore rispetto a quello definito in ossequio all'allegato I. 13 del d.lgs. 36/2023, "oltre a determinare una sovrapposizione con i poteri e le competenze delle stazioni appaltanti in termini di verifica della congruità delle offerte, produrrebbe una situazione di assoluta instabilità e incertezza sull'affidamento e sulle relative condizioni, con evidenti ripercussioni sulla spesa pubblica. In particolare, l'esito positivo del giudizio ordinario comporterebbe la necessaria modifica del quadro economico finanziario dell'intervento, con conseguenti ricadute, anche sulla capacità di spesa futura, che appaiono tanto più evidenti per gli interventi finanziati con i fondi del PNRR".
Alla luce di tali rilievi l'illustrata specialità del sistema dei contratti pubblici, che risponde ad una sua immanente logica proconcorrenziale, per certi versi antagonistica rispetto all'irrigidimento tabellare di singole voci di offerta, impedirebbe, dunque, "di cristallizzare i compensi professionali tramite la propugnata eterointegrazione automatica delle disposizioni della l. n. 49/2023"; inducendo, piuttosto," a considerare queste ultime a guisa di principi direttivi cui la stazione appaltante deve indefettibilmente improntare la propria valutazione di congruità dell'offerta provvisoriamente aggiudicataria".
Riprova ne sarebbe offerta dalla "previsione dell'art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 36/2023, il quale, se da un lato, stabilisce che "la pubblica amministrazione garantisce comunque l'applicazione del principio dell'equo compenso", d'altro lato, ammette, sia pure "in casi eccezionali e previa adeguata motivazione", perfino "prestazioni d'opera intellettuale ... rese dai professionisti gratuitamente"".
In ogni caso, il predicato meccanismo di eterointegrazione non apparirebbe "fondatamente invocabile a fronte del delineato quadro normativo, tutt'altro che univoco e perspicuo circa l'incidenza della disciplina in materia di equo compenso professionale sul regime dei contratti pubblici", posto che - per come rilevato dall'Anac nella sopra citata delibera - le condizioni di partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici devono essere tutte indicate nel bando di gara, la cui eterointegrazione con obblighi imposti da norme di legge deve ritenersi ammessa in casi eccezionali, poiché l'enucleazione di cause di esclusione non conosciute o conoscibili dai concorrenti contrasta con i principi europei di certezza giuridica e di massima concorrenza (tutte le parti riportate tra virgolette sono tratte da TAR Salerno, n. 1494/2024 cit.)>>.
.Il TAR Reggio Calabria, che a sua volta si è pronunciato a favore dell’indirizzo espresso dal TAR Salerno, ha rimarcato, in particolare, come l’individuazione del subprocedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta sia la sede in cui misurare l’incidenza in concreto del ribasso operato sulla componente del compenso e, allo stesso tempo, sulle soglie minime stabilite dalle tabelle ministeriali.
La sentenza citata ha poi rimarcato “come l’individuazione del subprocedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta quale sede in cui misurare l’incidenza in concreto del ribasso operato sulla componente del ‘compenso’ sulla serietà dell’offerta e, allo stesso tempo, sulle soglie ‘minime’ stabilite dalle pertinenti previsioni ministeriali, costituisca un presidio idoneo a scongiurare i rischi paventati dai sostenitori dell’opposta tesi.
Ed infatti un ribasso eccessivo, tale da erodere in maniera significativa la componente del ‘compenso professionale’, ove non giustificato da adeguate e convincenti motivazioni di fatto (rivenienti dalle capacità ‘strutturali’ del concorrente, dall’interesse all’affidamento per l’arricchimento del curriculum professionale, dalle esperienze già maturate in progettazioni analoghe, etc.), potrebbe certamente essere valutato dalla stazione appaltante come indicativo di una scarsa serietà dell’offerta, con ogni conseguente determinazione”.
Posti questi principi, è da rilevare che l’offerta della ricorrente appare in linea con quanto richiesto dalla normativa attuale che permette di ribassare le sole “spese e oneri accessori” ma non il “compenso”, non ravvisandosi alcun vincolo normativo che potesse impedire al concorrente di effettuare un ribasso del 100% sulle voci cui la stessa stazione appaltante permetteva il ribasso.
Infatti, l’offerta in questione si è attenuta alle indicazioni della stazione appaltante sulle somme ribassabili, avendo operato il ribasso sulle c.d. voci accessorie e non sul compenso, mentre, la Stazione appaltante non ha dimostrato che questo ribasso intaccasse l’equo compenso.