ALLA LUCE DI UN’INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA E SISTEMATICA DELLA NORMATIVA, NONCHÈ DEL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ DI DERIVAZIONE EUROUNITARIA CHE PURE GOVERNA LA MATERIA, IL COLLEGIO, RITIENE CHE IL TERMINE DI TRE ANNI DI CUI AL COMMA 10-BIS SIA APPLICABILE AGLI ILLECITI PROFESSIONALI CONTRATTUALI E ALLE CONDANNE SUPERIORI AI TRE ANNI STESSI, MENTRE LADDOVE LA DURATA DELLA CONDANNA COMMINATA SIA INFERIORE AI TRE ANNI NON POTRÀ CHE APPLICARSI IL CRITERIO DEL PRIMO PERIODO DEL CITATO COMMA 10-BIS, CHE IMPONE UNA ESCLUSIONE PARI ALLA DURATA DELLA PENA DAL PASSAGGIO IN GIUDICATO DELLA SENTENZA.

TAR Piemonte, Sez. I, 02.12.2021, n. 1108

“…Pare inoltre opportuno al collegio, ai fini conformativi, chiarire anche la problematica della rilevanza temporale dell’obbligo dichiarativo delle condanne non automaticamente escludenti ex art. 80, comma 5, lett. c) D.lgs 50/2016, pure oggetto del primo motivo di ricorso e di oggettivo interesse sostanziale per la ricorrente.

E’ evidente infatti come, nel considerare escludente l’omessa dichiarazione in sé, la stazione appaltante abbia quantomeno implicitamente ritenuto la condanna astrattamente idonea ad incidere sul suo giudizio.

Sul punto, per contrastare nel caso di specie la possibile rilevanza escludente della condanna, la difesa della ricorrente chiede innanzitutto, con il primo motivo di ricorso, di computare un termine triennale massimo di rilevanza della condanna a decorrere dalla data del fatto storico oggetto di condanna (pacificamente risalente al 2008) o, al più, della sentenza di primo grado (risalente al 2013).

Al proposito la difesa di parte ricorrente cita la sentenza Cons. St., sez. V, n. 6233/2021, che ha effettivamente preso in considerazione il fatto storico oggetto di una pur recente condanna.

La soluzione, se pur guidata da più che ragionevoli esigenze pratiche di applicazione del principio di proporzionalità, appare isolata in giurisprudenza e pare al collegio non praticabile in termini generali. Si consideri, infatti, che far decorrere il termine di rilevanza da un fatto di reato, per definizione non noto alla collettività se non in seguito alla sua emersione in seno al processo penale secondo le regole che lo governano, significherebbe che pressocchè in ogni caso sarebbe da escludere la rilevanza di sentenze penali ai sensi dell’art. 80 co. 5, pur astrattamente teorizzata ed acquisita in giurisprudenza, perché l’accertamento penale del fatto (e talvolta anche la sua scoperta in sede di indagini) si cristallizza fisiologicamente oltre il triennio dalle condotte. D’altro canto l’equiparazione delle condanne non tipicamente escludenti ai fatti storici di illecito contrattuale, pur pacificamente acquisita dalla giurisprudenza nell’applicazione dell’art. 80 co. 5, necessariamente pone sullo stesso piano illeciti la cui emersione segue iter strutturalmente diversi; l’illecito contrattuale implica infatti contestazioni formali tra le parti, che lo rendono immediatamente percepibile, mentre il reato non può che emergere in esito al complesso iter delle indagini e dell’accertamento in sede giudiziaria.

Per tali ragioni il collegio ritiene, sul punto, più convincente ed aderente al tipo di causa escludente invocata, omogenea per questo profilo ad ogni altra condanna ritenuta escludente dall’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016, una valutazione che tenga conto del passaggio in giudicato della sentenza, come per altro espressamente imposto dal medesimo art. 80 in tutti i casi in cui menziona esplicitamente la rilevanza di condanne penali. La lontananza nel tempo della condotta oggetto di reato, per canto suo, entrerà legittimamente nelle valutazioni discrezionali spettanti alla stazione appaltante.

In effetti, sulla specifica questione del dies a quo del termine di durata dell’efficacia escludente delle condanne tutte, anche alla luce del tenore letterale della disposizione, buona parte della giurisprudenza si è orientata per l’applicazione, anche in caso di condanne non automaticamente escludenti ma rilevanti in quanto possibili illeciti professionali, di un termine di esclusione decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza (cfr. Cons. St. n. 4937/2020; Tar Lazio 4917/2020).

Trattasi per altro della tesi patrocinata dalla difesa della stazione appaltante, la quale ha evidenziato persino come la stessa ricorrente, in fase di giustificazioni rese nel corso del procedimento, avesse dato per assunto che il dies a quo di rilevanza della condanna dovesse computarsi dal suo passaggio in giudicato.

Né può accedersi alla soluzione ibrida, pure proposta dalla difesa di parte ricorrente, di considerare la sentenza di primo grado, che da un lato non coinciderebbe con l’accadimento in senso naturalistico e, dall’altro, non garantirebbe la certezza propria del giudicato.

Superato tale specifico aspetto, altra e diversa problematica attiene alla durata triennale di tale termine ed agli effetti, anche sistematici, che essa in concreto produrrebbe nel caso di specie.

Non è ignoto al Collegio l’indirizzo ermeneutico secondo cui, mediante il generico riferimento “al comma 5”, contenuto nel nuovo comma 10-bis dell’art. 80 – introdotto dal D.L.18 aprile 2019, n. 32 – il limite di rilevanza temporale del fatto astrattamente configurabile quale “grave illecito professionale” viene indicato come triennale in ogni caso, ivi incluse le condanne e decorrente, appunto in tal caso, dalla data del passaggio in giudicato (cfr. T.A.R. Lazio, sez. II Ter, 11/05/2020, n. 4917; C.G.A.R.S., 19/04/2021, n. 326; Cons. Stato, sez. IV, 05/08/2020, n. 4937; Tar Bari n. 318/2020).

Questa soluzione pare tuttavia al collegio che ingenererebbe, nella procedura per cui è causa, effetti di incoerenza sistematica che sarebbero, come sostanzialmente dedotto con il primo motivo di ricorso, obiettivamente sproporzionati.

La problematica si inserisce infatti nel contesto e nella evoluzione giurisprudenziale e normativa in cui è maturata la disciplina del “grave illecito professionale” quale causa di esclusione dalle gara; si precisa altresì che, in tutte le decisioni appena riportate, la coerenza, per così dire sistematica “esterna”, del termine triennale applicato a decorrere dal giudicato per una condanna per reato diverso da quelli che costituiscono fattispecie tipiche ed obbligatorie di esclusione non è emersa nei suoi profili critici, in quanto trattavasi di condanne risalenti ad oltre il triennio, la cui rilevanza restava dunque in ogni caso esclusa.

L’evoluzione normativa in materia muove dall’art. 57 paragrafo 7 della direttiva 2014/24/UE ai sensi del quale: “in forza di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e nel rispetto del diritto dell’Unione, gli Stati membri specificano le condizioni di applicazione del presente articolo. In particolare essi determinano il periodo massimo di esclusione nel caso in cui l’operatore economico non adotti nessuna misura di cui al paragrafo 6 per dimostrare la sua affidabilità. Se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, tale periodo non supera i cinque anni dalla data della condanna con sentenza definitiva nei casi di cui al paragrafo 1 e i tre anni dalla data del fatto in questione nei casi di cui al paragrafo 4”.

L’intento del legislatore eurounitario è stato quello di limitare, in qualunque caso, la rilevanza temporale della cause di esclusione, oggetto di recepimento nel nostro ordinamento con l’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016, il tutto in un’ottica garantista ed in attuazione del principio di proporzionalità.

All’atto di primo recepimento di queste disposizioni il legislatore nazionale si è limitato a prevedere, all’art. 80 comma 10, un termine degli effetti escludenti derivanti da specifiche condanne penali che potrebbero comportare la pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32 quater c.p.), senza prendere in considerazione tutte le ulteriori ipotesi di esclusione contemplate dai commi 4 e 5 dell’art. 80 stesso e in particolare le atipiche e possibili fattispecie di condanna che, nel tempo, sono state ricondotte dalla giurisprudenza al grave illecito professionale di cui all’art. 80 co. 5 del d.lgs. n. 50/2016 stesso.

Ne è emersa, nella pratica, una non aderenza sul punto della legislazione italiana a quella eurounitaria, provvisoriamente colmata per lo più mediante una sostanziale applicazione diretta, in ogni ipotesi, del termine triennale di rilevanza massima previsto al paragrafo 4 della citata direttiva (in tal senso, ad esempio, Cons. St. 6576/2018).

Il legislatore è poi più volte intervenuto sul comma 10 dell’art. 80, per colmare il vuoto normativo, innanzitutto inserendo un termine di durata degli effetti escludenti derivanti dalle ipotesi di cui all’art. 80 commi 4 e 5.

Da ultimo con il D.L. 32/2019 c.d. Sblocca-Cantieri, applicabile alla vicenda per cui è causa ratione temporis, la pertinente disciplina è stata articolata tra un comma 10 e un nuovo comma 10 bis dell’art. 80 del d.lgs 50/2016 che recitano:

“10. Se la sentenza penale di condanna definitiva non fissa la durata della pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, la durata della esclusione dalla procedura d’appalto o concessione è:

a) perpetua, nei casi in cui alla condanna consegue di diritto la pena accessoria perpetua, ai sensi dell’articolo 317-bis, primo periodo, del codice penale, salvo che la pena sia dichiarata estinta ai sensi dell’articolo 179, settimo comma, del codice penale;

b) pari a sette anni nei casi previsti dall’articolo 317-bis, secondo periodo, del codice penale, salvo che sia intervenuta riabilitazione;

c) pari a cinque anni nei casi diversi da quelli di cui alle lettere a) e b), salvo che sia intervenuta riabilitazione.

10-bis. Nei casi di cui alle lettere b) e c) del comma 10, se la pena principale ha una durata inferiore, rispettivamente, a sette e cinque anni di reclusione, la durata della esclusione è pari alla durata della pena principale. Nei casi di cui al comma 5, la durata della esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza. Nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l’operatore economico che l’abbia commesso”.

Sul punto del dies a quo, già si è detto.

Quanto alla durata del termine l’applicazione della pregressa disposizione al caso di specie, alla luce dei principi tutti sin qui elaborati dalla giurisprudenza, dovrebbe condurre in sostanza, e come per altro sostenuto dalla difesa della stazione appaltante, all’applicazione di un termine di rilevanza triennale decorrente dal passaggio in giudicato della condanna.

Tuttavia pare al collegio che l’applicazione di tale termine produrrebbe intollerabili effetti di incoerenza esterna rispetto a quanto previsto per le condanne per reati tipicamente escludenti, quali ad esempio quelli disciplinati dall’art. 317 bis c.p..

Per questi ultimi, infatti, il comma 10 bis dell’art. 80 prevede un termine di rilevanza della causa escludente pari alla durata della pena stessa in ipotesi di pene inferiori a sette o cinque anni; praticamente, quindi, in casi di ben possibile condanna a pene inferiori ai tre anni per taluno dei reati, che per la loro gravità tipica addirittura obbligano la stazione appaltante ad escludere il concorrente e possono comportare la pena accessoria del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, si avrebbe una efficacia temporale della durata dell’esclusione minore di quella che si avrebbe nel presente caso, in cui è stata comminata una pena di due mesi e pochi giorni di reclusione soggetta a valutazione discrezionale della stazione appaltante.

Ne deriverebbe un effetto contrario alla ratio sottesa al disposto normativo di creare un omogeneo e coerente sistema che garantisca, da un lato, una durata massima degli effetti escludenti conseguenti a qualunque tipo di condanna, dall’altro una omogeneità di trattamento tra le fattispecie che costituiscono grave illecito professionale sub specie di condanne, senza però trascurare la necessaria coerenza esterna della disposizione rispetto ad altre ipotesi di condanne tipicamente escludenti, che, come tali, sono state ritenute per definizione più gravi dallo stesso legislatore

Nel caso specifico le condanna che ha comportato l’applicazione dell’esigua pena di poco più di due mesi di reclusione irrogata al sig. -OMISSIS- per il reato di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in autorizzazioni amministrative ex art. 477 c.p. per fatti risalenti al dicembre 2008, dovrebbe produrre un’efficacia escludente pari a tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza (avvenuto in data 17 dicembre 2018 per declaratoria di inammissibilità del ricorso per Cassazione) e sarebbe quindi astrattamente rilevante per la gara per cui è causa. Per contro, laddove il sig. -OMISSIS- fosse stato condannato per reati ostativi di cui al comma 1, l’esclusione rileverebbe per un arco temporale pari alla effettiva durata della pena, e sarebbe, nel caso di specie (o comunque in ben possibili ipotesi di condanne, ancorchè più elevate, infratriennali), per lo più irrilevante.

Tale evidenza impone, a parere del collegio, un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della normativa, improntata al canone della ragionevolezza e proporzionalità, non potendosi ritenere che il riferimento contenuto nell’art. 10bis “al comma 5”, ferma l’individuazione del limite triennale massimo di esclusione per tutte le ipotesi di gravi illeciti professionali, ivi comprese eventuali condanne non tipizzate dal legislatore nella loro valenza escludente, sfoci, per condanne di durata infratriennale e non corredate dalla pena accessoria del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, nella palese violazione del principio di uguaglianza e degli stessi criteri di proporzionalità ed armonizzazione del sistema che hanno guidato il legislatore e la giurisprudenza in materia. Si noti, ad esempio, che la stessa pronuncia C.G.A.S. n. 326/2021, che ha fatto applicazione di un termine triennale di esclusione per le condanne integranti gravi illeciti professionali, lo ha motivato precisando che non si può “logicamente consentire un trattamento giuridico più favorevole alle situazioni nelle quali intervengano condanne ostative (per le quali è pacifica la limitazione del periodo di inibizione e dunque la rilevanza temporale della condanna, ex art. 80, co. 10 e 10-bis, primo periodo, del Codice) rispetto situazioni diverse, assoggettabili ad una valutazione discrezionale della stazione appaltante”; si ribadisce che, nello specifico caso della sentenza del C.G.R.S., il risultato è stato comunque l’esclusione della rilevanza della condanna in contestazione.

Pertanto, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata e sistematica della normativa, nonchè del principio di proporzionalità di derivazione eurounitaria che pure governa la materia, il Collegio, ritiene che il termine di tre anni di cui al comma 10-bis sia applicabile agli illeciti professionali contrattuali e alle condanne superiori ai tre anni stessi, mentre laddove la durata della condanna comminata sia inferiore ai tre anni non potrà che applicarsi il criterio del primo periodo del citato comma 10-bis, che impone una esclusione pari alla durata della pena dal passaggio in giudicato della sentenza.…”.

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