Massima Sentenza

“… il presupposto operativo dell’illecito non coincide con la sentenza, dalla quale può, in ogni caso, prescindere (arg. ancora ex art. 80, comma 10 bis, terzo periodo, che si riferisce espressamente ad una situazione di mera pendenza del giudizio) – non si palesa congruo ancorare il decorso del termine di rilevanza oggettiva dell’illecito alla (eventuale) pronuncia con efficacia di giudicato, che nulla aggiungerebbe di per sé, se non in termini di mero rafforzamento sul piano probatorio, alla valutazione (autonoma ed anticipata) della stazione appaltante. 

Cons. St., Sez. V, 05.07.2023, n. 6584


Decorrenza del termine triennale nel caso di illeciti professionali derivanti da fatti oggetto di accertamento in sede penale.

“…Ciò posto, il problema della rilevanza temporale, in termini di illecito professionale ad attitudine escludente, dei fatti oggetto di accertamento in sede penale è oggetto di orientamenti non omogenei, in certa misura dovuti, secondo si dirà, al malcerto dato positivo di riferimento.

In premessa, l’art. 80, comma 5 lettera c) del d.lgs. n. 50/2016, nella formulazione vigente ratione temporis, prevede – nel novero delle “situazioni” in presenza delle quali la stazione appaltante è, pur senza automatismo, abilitata ad escludere i concorrenti dalla partecipazione alla procedura d’appalto – la circostanza che “l’operatore economico si [sia] reso colpevole di gravi illeciti professionali”.

La formula linguistica, ad ampio spettro denotativo, non chiarisce la generica nozione di “illecito professionale”, ma non è dubbio – vuoi alla luce della ratio della norma, vuoi anche nel sintomatico confronto con le ulteriori e coocorrenti fattispecie escludenti, che conferiscono articolato e complessivo rilievo a comportamenti illeciti di rilievo meramente civilistico o amministrativo – che la stessa includa senz’altro i fatti di rilevanza penale, in quanto tipicamente suscettibili di incidere (laddove connotati da un adeguato grado di gravità) sulla “integrità” e sulla “affidabilità” dell’operatore economico.

Se ne trae, comunque, positiva ed espressa conferma dall’art. 80, comma 7, che – nel legittimare il concorrente alla allegazione e dimostrazione di comportamenti orientati al ravvedimento operoso, intesi al risarcimento (de praeterito) dei danni eventualmente cagionati ed alla programmatica prevenzione (de futuro) di analoghe occasioni di illecito: c.d. self cleaning – richiama non solo le “situazioni di cui al comma 1” (riferite a specifiche tipologie delittuose, definitivamente accertate a carico dei soggetti ‘apicali’ individuati al comma 3), ma anche, per l’appunto, quelle di cui al “comma 5”, che includono, genericamente, ipotesi di commissione di “reati”.

Peraltro, il successivo comma 10 si occupa di individuare, sotto il profilo temporale, il limite della “durata della esclusione dalla procedura di appalto o di concessione”, espressamente ancorandolo, con scandita graduazione (e con chiaro riguardo alle ipotesi di reato automaticamente escludenti, di cui al comma 1) alla (necessaria) “sentenza penale di condanna definitiva”: a tal fine integrato (con riguardo alle ipotesi di trattamento edittale inferiore ai sette o cinque anni) dal primo periodo del successivo comma 10 bis (all’uopo inserito, nell’originario ordito codicistico, dall’art. 1 del d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito in l. n. 55/2019, con effetto dal 18 giugno 2019).

Con non impeccabile tecnica normativa (verisimilmente imputabile al carattere estemporaneo dell’intervento correttivo, sollecitato da una circostanziata contestazione formale della Commissione europea), il secondo periodo del comma 10 bis si riferisce – ad analogo fine – ai (residui) “casi di cui al comma 5”, peraltro complessivamente disomogenei e, comunque, non riferiti ai soli illeciti di matrice penale, stabilendo: a) che, in tal caso, “la durata della esclusione è pari a tre anni”; b) che (trattandosi di situazioni che, per quanto chiarito, non postulano, di necessità, il definitivo accertamento con sentenza passata in giudicato), nella (eventuale) pendenza di un “giudizio”, la stazione appaltante sia tenuta a “tenere conto [del] fatto” ai fini della “propria valutazione”, quale “presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l’operatore economico che l’abbia commesso” (comma 10 bis, terzo periodo).

In ogni caso, il secondo periodo – ponendo ed aspirando a risolvere il (decisivo) profilo del (necessario) ancoraggio temporale del (così quantificato) termine “di durata” dell’illecito – precisa che lo stesso decorra “dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione” ovvero, “in caso di contestazione in giudizio”, dalla “data di passaggio in giudicato della sentenza”.

Nei termini in cui risulta formulata, la disposizione – di cui resta perspicuo l’obiettivo di fondo – risulta obiettivamente imprecisa e, soprattutto, incompleta (il che rende, quanto meno in parte, ragione delle perduranti oscillazioni esegetiche della giurisprudenza, sulla questione in esame, che traggono alimento dalla sua equivocità): con ogni evidenza, si riferisce (esclusivamente) alle situazioni (a loro volta potenzialmente) escludenti mediate da un “provvedimento amministrativo” che abbia sancito una precedente “esclusione” dalla gara, sicché il successivo riferimento al “giudizio” in cui lo stesso sia oggetto di “contestazione” ed alla “sentenza” atta a definirlo non potrà che riferirsi al giudizio (di impugnazione del provvedimento) dinanzi al giudice amministrativo.

Non interessano, beninteso, le (molteplici) questioni prospettate dalla norma: importa, tuttavia, osservare e puntualizzare che il legislatore: 

a) ha (incontrovertibilmente) scandito in termini generali (recependo peraltro, come subito si dirà, vincolante indicazione di fonte eurocomune), la durata triennale del fatto escludente

b) ha omesso (fatta salva l’ipotesi, non rilevante, di esclusione ex actu) di fissare il relativo dies a quo (solo implicitamente ancorando, tra l’altro, il correlativo dies ad quem, al momento della “valutazione” rimessa alla stazione appaltante).

Omissione seria e grave, come è chiaro, dacché una misura temporale dilatoria, destinata ad operare tractu temporis non può, per definizione, prescindere da un riferimento cronologico puntuale, che ne marchi (e, appunto, definisca) il momento iniziale (e finale). 

6.- È nel (non defettibile) tentativo di colmare, su adeguate basi positive, la evidenziata lacuna che la giurisprudenza – come, in verità, ha ben avvertito il primo giudice – si è divisa, volta a volta optando: 

a) per il riferimento (in certo modo indotto da una lettura ‘estensiva’ del secondo periodo del comma 5, non disgiunto da una assimilazione alle ipotesi di cui al comma 10) al “passaggio in giudicato della sentenza di condanna” (in tal senso, tra le molte: Cons Stato, sez. III,1giugno 2021, n. 4201; Id., sez. IV, 5 agosto 2020, n. 4937; Id., sez. V, 29 ottobre 2020, n. 6635); 

b) per l’aggancio momento di “pubblicazione della sentenza, ancorché non definitiva”, che “accerti”, nella sede sua propria, la rilevanza penale del fatto (in tal senso, per es. T.A.R. Campania – Napoli, Sez. II, n. 731/2021); 

c) per il richiamo a qualunque, obiettiva “vicenda” processuale (e.g. richiesta di rinvio a giudizio, adozione di misure cautelari et similia), in grado di “dare evidenza”, sia pure non definitiva, al “fatto imputato” (per es.: Cons. Stato, sez. III, 2 febbraio 2021, n. 958); 

d) per il (più garantistico) riferimento al “fatto [storico] commesso”, in asserita linea con l’articolo 57, § 7, della direttiva 2014/24/UE (cfr., per es., Cons. Stato, sez. V, 27 gennaio 2022, n. 575).

Tra fatto commesso, fatto imputato e fatto a vario titolo accertato l’oscillazione si giustifica, in definitiva, in virtù della incerta base normativa del riferimento.

7.- Ciò posto, il Collegio opina che giovi, nella disamina, procedere con un ragionamento per esclusione. All’esito di tale ragionamento, risulterà che non sussistono i presupposti né per la rimessione della questione interpretativa alla Corte di giustizia né per il deferimento alla Adunanza plenaria.

In effetti, deve senz’altro escludersi che possa farsi capo al momento del passaggio in giudicato della sentenza che accerti la commissione del fatto in sede penale, dovendo accogliersi, sul punto, l’appello incidentale e, reciprocamente, respingersi quello principale.

Come si è osservato, invero, il d. lgs. n. 50/2016, adeguandosi sul punto alle indicazioni della direttiva 2014/24/UE, conferisce rilievo agli illeciti di natura penale secondo due diverse modalità: 

a) quando si tratti (profilo oggettivo) di reati rientranti nel catalogo (da riguardarsi quale tassativo) di cui all’art. 80, comma 1, lettere da a) a g), in quanto commessi (profilo soggettivo) dai soggetti individuati (in guisa parimenti tassativa) dall’art. 80, comma 3 (complessivamente rientranti nel novero dei cc.dd. apicali), l’esclusione è disposta – ferma la possibilità del self cleaning, ove la pena detentiva non superi i 18 mesi o sia stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione (cfr. art. 80, comma 7) – in via automatica (cfr. art. 80, comma 1, secondo cui la circostanza “costituisce motivo di esclusione”, senza altra valutazione), ma è subordinata alla definitività dell’accertamento (richiedendosi alternativamente la “condanna con sentenza definitiva”, il “decreto penale di condanna divenuto irrevocabile” ovvero la “sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale”): in tal caso l’interdizione all’accesso alle procedure evidenziali opera, con criterio di gradualità, per il tempo definito all’art. 80, comma 10 e comma 10 bis, primo periodo;

b) in ogni altro caso (che, per quanto chiarito supra, rientra nella fattispecie generale dell’art. 80, comma 5, lettera c) l’esclusione non è recta via ancorata alla pronunzia del giudice penale, ma è il frutto di una autonoma valutazione (ampiamente discrezionale) della stazione appaltante, che “dimostri con mezzi adeguati” (e ciò anche “nel tempo occorrente alla definizione del giudizio”: cfr. art. 80, comma 10 bis, terzo periodo) l’incidenza del fatto (in quanto ritenuto “grave”) sui requisiti di moralità dell’operatore economico che se ne sia reso colpevole, sì da rendere “dubbia la sua integrità o affidabilità). 

Appare, perciò, chiaro che il giudicato penale rappresenta elemento (tipizzantedella fattispecie escludente di cui all’art. 80, comma 1, ma non è elemento costitutivo dell’illecito professionale di cui all’art. 80, comma 5, lettera c), sicché tra le due fattispecie non sussiste alcuna sovrapposizione. Nel secondo caso, è piuttosto la (pendenza) di un processo (o di un procedimento) penale ad integrare, nella valorizzata chiave indiziaria, un (rilevante) elemento di valutazione rimesso alla stazione appaltante.

In definitiva, l’illecito professionale (ancorché, per ipotesi, emerso nell’ambito di un processo penale) costituisce fattispecie del tutto distinta, la quale non presuppone la configurabilità di un reato, né l’accertamento definitivo di una condotta (essendo, di nuovo, sufficiente la dimostrazione “con mezzi adeguati” in sede evidenziale), né un grado di certezza nella valutazione (essendo necessario, ma anche sufficiente che la stazione appaltante “dubiti” dell’affidabilità dell’impresa). 

L’illecito professionale, quindi, configura strumento di anticipazione della tutela della posizione contrattuale della committente pubblica rispetto ai possibili rischi di inaffidabilità dell’operatore, ed opera, quindi, a prescindere da un eventuale accertamento definitivo in sede penale (che può anche non sussistere). 

Ed è questa la ragione per la quale, proprio per l’ampio spettro operativo che lo caratterizza, il legislatore (europeo e nazionale) ha inteso limitare (sia pure con la considerata ambiguità) l’ambito temporale di rilevanza, circoscritto al triennio: trattandosi, invero, di fattispecie “aperta” e non tipizzata (a differenza del comma 1), è stata avvertita l’esigenza di definire il limite oltre il quale una determinata vicenda occorsa non può costituire elemento tale da rendere “dubbia” l’affidabilità dell’impresa, scongiurando in tal modo anche l’eccessiva (sproporzionata e irragionevole) estensione dei correlati obblighi dichiarativi posti in capo al concorrente. 

Ne discende – se, come va ribadito, il presupposto operativo dell’illecito non coincide con la sentenza, dalla quale può, in ogni caso, prescindere (arg. ancora ex art. 80, comma 10 bis, terzo periodo, che si riferisce espressamente ad una situazione di mera pendenza del giudizio) – non si palesa congruo ancorare il decorso del termine di rilevanza oggettiva dell’illecito alla (eventuale) pronuncia con efficacia di giudicato, che nulla aggiungerebbe di per sé, se non in termini di mero rafforzamento sul piano probatorio, alla valutazione (autonoma ed anticipata) della stazione appaltante. 

Occorre, in altri termini, dare coerenza alla prospettiva del legislatore: se l’attivazione della causa di esclusione è possibile anche prima (e perfino indipendentemente di una sentenza di accertamento definitivo del reato (a differenza delle ipotesi di cui all’art. 80, comma 1), allora è giocoforza desumerne che alla stazione appaltante non tanto non sia (negativamente) preclusa, ma sia piuttosto (positivamente) imposta – allorquando si debba ritenere che gli elementi informativi a sua disposizione siano “adeguati” alla percezione del fatto ed all’apprezzamento della sua incidenza sulla moralità del concorrente – una delibazione dell’illecito ad excludendum. Sicché far decorrere il limite temporale di rilevanza del fatto (che è, in sé, anche limite ragionevole all’esercizio della facoltà di estromissione) dall’esito del processo penale (piuttosto che dal momento della sua percezione o percepibilità, sulla base di ogni elemento indiziario) appare non solo intrinsecamente contraddittorio, ma anche, in definitiva, contrario al dato normativo, così complessivamente ricostruito.

Con più lungo discorso, tenuto conto della possibilità di ricavare l’illecito professionale anche da accertamenti interinali o esterni all’eventuale processo penale (per esempio, da una richiesta di rinvio a giudizio o dalla emanazione di misure cautelari), ancorare al giudicato penale il decorso del termine triennale di rilevanza determinerebbe l’effetto (paradossale) di estendere a dismisura la valenza dello stesso, anche ben oltre l’effetto di un eventuale giudicato penale…”

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