Massima Sentenza

“…Il Collegio è, infatti, del meditato avviso che, a differenza di quanto statuito nella sentenza impugnata, debba ritenersi ammissibile, alla luce del diritto interno ed eurounitario, il ricorso da parte di un operatore economico all’istituto dell’avvalimento per la dimostrazione del possesso del requisito premiale, previsto dalla lex specialis, della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del d.lgs. n. 198 del 2006...Ne discende che fuori dall’ambito dei requisiti generali (corrispondenti alle cause di esclusione) di cui agli artt. 94 e 95, che riguardano per così dire l’imprenditore quale soggetto, e di detti casi tipizzati di requisiti riguardanti l’impresa, in cui testualmente non rientra quello delle certificazioni della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del d.lgs. n. 198 del 2006, va per, converso, sempre ammesso il ricorso all’istituto dell’avvalimento, sia esso di tipo “partecipativo” ovvero “premiale”…”

Cons. St., Sez. VI, 18.06.2025, n.5345


E’ ammissibile il ricorso da parte di un operatore economico all’istituto dell’avvalimento per la dimostrazione del possesso del requisito premiale della certificazione della parità di genere .

“… Il Collegio è, infatti, del meditato avviso che, a differenza di quanto statuito nella sentenza impugnata, debba ritenersi ammissibile, alla luce del diritto interno ed eurounitario, il ricorso da parte di un operatore economico all’istituto dell’avvalimento per la dimostrazione del possesso del requisito premiale, previsto dalla lex specialis, della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del d.lgs. n. 198 del 2006.

Depongono in tal senso una pluralità di argomenti, invero già in parte lumeggiati dalla giurisprudenza di primo grado (tra cui T.A.R. per le Marche, 7 novembre 2024, n. 862; T.A.R per la Toscana, 10 giugno 2025, n. 1026).

2.2 Anzitutto, occorre muovere dalla constatazione che l’avvalimento è istituto di ascendenza eurounitaria tradizionalmente ispirato, in un’ottica pro-concorrenziale, al favor partecipationis e, quindi, a consentire l’ampliamento della platea dei potenziali concorrenti alla procedura.

Va tuttavia evidenziato che, superando le perplessità manifestate in precedenza da una parte della giurisprudenza e della dottrina, il nuovo Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs. n. 36 del 2023) ha operato un “cambio di impostazione” spostando l’asse della sua disciplina e ricomprendendo “nell’ambito dell’avvalimento anche quella particolare figura indicata come avvalimento c.d. premiale, in cui il prestito delle risorse è diretto ad ottenere un punteggio più elevato e non invece il prestito dei requisiti di capacità mancanti” (così la Relazione di accompagnamento al Codice, pag. 153).

Come è stato notato, ciò ha determinato la “liberalizzazione” dell’avvalimento c.d. “premiale” anche nella sua versione c.d. “pura” (e non, invece, solo “mista” e, cioè, relativa a risorse che sono comunque effettivamente prestate per integrare i requisiti ma che poi vanno anche a “qualificare” in termini qualitativi l'offerta – Cons. Stato, sez. V, 17/09/2021, n.6347), ossia del “prestito” di dotazioni e risorse da parte di un’impresa (“ausiliaria”) a favore di altro operatore economico che partecipa a una procedura di affidamento di un contratto pubblico, operato al fine di consentire a quest’ultimo – come oggi recita l’articolo 104 del nuovo codice – di “migliorare la propria offerta”.

A ciò è stato condivisibilmente aggiunto che l’avvalimento cd. “premiale” risulta dotato di un’“autonoma funzione pro-concorrenziale”, qualitativamente distinta rispetto all’avvalimento partecipativo, e che consiste, in maniera non dissimile a quanto accade per altri istituti (tra cui in primis le forme di partecipazione aggregata alla procedura- R.T.I., consorzi), nella possibilità per l’operatore economico di accrescere la qualità tecnica della propria offerta, rendendola più idonea a conseguire l’aggiudicazione al fine di ottenere maggiore spazio sul mercato ed incrementare la propria efficienza produttiva e i propri livelli di redditività.

Ebbene, in questa ottica, costituendo l’avvalimento anche nella sua versione “premiale”, istituto servente alla realizzazione del fondamentale principio di matrice eurounitaria della concorrenza (art. 3 del nuovo Codice dei Contratti Pubblici, Considerando 1 alla Direttiva 2014/24/UE DEL Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014), i giudici nazionali sono tenuti a prediligere, in sede interpretativa, anche al fine di garantire il cd. “effetto utile”, le soluzioni ermeneutiche che ne consentano l’operatività o che, comunque, ne assicurino il più vasto campo di applicazione.

2.3 Del resto, venendo al quadro normativo nazionale, l’art. 104 del d.lgs. n. 36 del 2023 (e di riflesso la lex specialis di gara che di questo, come prima osservato, è sostanzialmente riproduttiva) ammettono in generale il ricorso all’avvalimento cd. “premiale” prevedendo solo taluni specifici e puntuali limiti (si veda, ad esempio il comma 10 dell’art. 104 del d.lg. n. 36 del 2023) all’operatività dell’istituto dell’avvalimento tout court inteso, i quali, avendo natura eccezionale, vanno letti ex art. 14 disp. prel. cc. in chiave necessariamente restrittiva. 

Ne discende che fuori dall’ambito dei requisiti generali (corrispondenti alle cause di esclusione) di cui agli artt. 94 e 95, che riguardano per così dire l’imprenditore quale soggetto, e di detti casi tipizzati di requisiti riguardanti l’impresa, in cui testualmente non rientra quello delle certificazioni della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del d.lgs. n. 198 del 2006, va per, converso, sempre ammesso il ricorso all’istituto dell’avvalimento, sia esso di tipo “partecipativo” ovvero “premiale”. 

2.4 Sotto altro profilo va poi osservato che il ricorso all’avvalimento è stato espressamente ammesso dalla giurisprudenza di questo Consiglio in relazione alle certificazioni di qualità (Cons. Stato, sez. IV, 16 gennaio 2023, n. 502; Cons. Stato, sez. III, n. 4418 del 2019; Cons. Stato, sez. III, n. 3517 del 2015), genus al quale è sostanzialmente riconducibile anche la certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del d.lgs. n. 198 del 2006. 

Quest’ultima disposizione, infatti, stabilisce che “A decorrere dal 1° gennaio 2022 è istituita la certificazione della parità di genere al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità”.

La certificazione de qua, rilasciata da organismi accreditati, attesta, quindi, l’adozione all’interno di un’azienda di un sistema di gestione conforme ad una specifica prassi (la UNI/PdR 125:2022) ed attiene, pertanto, all’organizzazione ed ai processi aziendali comprovando che si è prescelto un assetto di questi in grado di assicurare inclusione ed equità di genere. Ciò ne fa un attributo del compendio aziendale (inteso ex art. 2555 c.c. quale “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”), esportabile, come tale, nella sua oggettività da un’impresa all’altra. 

La vicinanza, pur nelle sue indubbie specificità, della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del d.lgs. n. 198 del 2006 alla figura del “certificato di qualità” si percepisce, peraltro, con chiarezza dalla simmetria con la formulazione letterale dell’attuale Allegato II.8 del nuovo Codice (che ha sostituito l’art. 87, comma 3 del d.lgs. n. 50 del 2016) il quale, al suo punto I, definisce il secondo come il “certificato rilasciato da un organismo di valutazione di conformità quale mezzo di prova di conformità dell’offerta ai requisiti o ai criteri stabiliti nelle specifiche tecniche, ai criteri di aggiudicazione o alle condizioni relative all’esecuzione dell’appalto”.

Non può, del resto, sfuggire che l’art. 108, comma 7, ultimo periodo, del nuovo Codice dei Contratti Pubblici ha inteso menzionare espressamente il possesso della certificazione della parità di genere come criterio premiale di aggiudicazione.

2.5 Né dalla diposizione da ultimo citata possono trarsi, come invece sostenuto da parte appellata, argomenti contrari alla tesi che qui si è voluto accogliere. E, infatti, l’art. 108, comma 7, ultimo periodo, del nuovo Codice dei Contratti Pubblici (secondo cui “Al fine di promuovere la parità di genere, le stazioni appaltanti prevedono, nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, il maggior punteggio da attribuire alle imprese per l'adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere comprovata dal possesso della certificazione della parità di genere di cui all'articolo 46-bis del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198”) si limita a imporre alle stazioni appaltanti la previsione di un criterio premiale di aggiudicazione legato al possesso della certificazione della parità di genere senza, tuttavia, prescriverne il necessario possesso diretto. V’è, peraltro, da ritenere, che se il legislatore avesse inteso introdurre un divieto di avvalimento “premiale” rispetto a tale particolare figura di certificazione lo avrebbe fatto in maniera espressa intervenendo nella sede materiale più opportuna (e cioè sulla disciplina dell’avvalimento ex art. 104 e non anche su quella generale in materia di criteri di aggiudicazione)..."

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