Massima Sentenza
“…Nella materia della revisione dei prezzi nei contratti di appalto di lavori e di servizi e nei contratti di fornitura ha sempre operato la clausola di specialità dei rapporti con le pubbliche amministrazioni, di talché i normali parametri normativi (di cui agli artt. 1467 ss., 1664, 1677, etc., del codice civile) di regola non operano nei predetti rapporti obbligatori, che sono invece disciplinati, sotto questo profilo, da norme speciali ad hoc, che tendenzialmente, peraltro, tendono a restringere il margine di scelta “discrezionale” dell’Amministrazione committente, vincolandola variamente a stringenti e ben definiti presupposti sostanziali e procedimentali, posti per lo più a tutela dell’economicità dell’azione amministrativa e per ragioni di controllo della spesa pubblica, nonché, guardando al profilo eurounitario, per ragioni di tutela della concorrenza e del mercato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 13 luglio 2023 n. 6847)…”
“…La ricorrente precisa, in ogni caso, che negare l’applicazione dell’istituto della revisione dei prezzi solo perché il contratto di appalto non prevede una espressa clausola revisionale determinerebbe una situazione di squilibrio per l’imprenditore, che sarebbe costretto a rendere all’Amministrazione una prestazione qualitativamente inferiore a quella pattuita.
Sostiene la natura cogente dell’obbligo di inserire la clausola di revisione dei prezzi, per come peraltro previsto non solo dalla disciplina anteriore al Decreto Legislativo 18 aprile 2016 n. 50, ma anche da quella successiva.
Il motivo è infondato.
Nella materia della revisione dei prezzi nei contratti di appalto di lavori e di servizi e nei contratti di fornitura ha sempre operato la clausola di specialità dei rapporti con le pubbliche amministrazioni, di talché i normali parametri normativi (di cui agli artt. 1467 ss., 1664, 1677, etc., del codice civile) di regola non operano nei predetti rapporti obbligatori, che sono invece disciplinati, sotto questo profilo, da norme speciali ad hoc, che tendenzialmente, peraltro, tendono a restringere il margine di scelta “discrezionale” dell’Amministrazione committente, vincolandola variamente a stringenti e ben definiti presupposti sostanziali e procedimentali, posti per lo più a tutela dell’economicità dell’azione amministrativa e per ragioni di controllo della spesa pubblica, nonché, guardando al profilo eurounitario, per ragioni di tutela della concorrenza e del mercato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 13 luglio 2023 n. 6847).
L’istituto della revisione dei prezzi – tipica “clausola esorbitante” rispetto al comune diritto contrattuale dei privati – ha attraversato negli ultimi decenni una fase di “crisi” ed è stato sottoposto a forti critiche per la sua incidenza negativa sull’andamento dei costi gestionali delle amministrazioni, fino al punto da essere notevolmente ridimensionato nel suo ambito applicativo. Per gli appalti di servizi e forniture a esecuzione periodica o continuativa l’art. 44, commi 4 e 6, della Legge 23 dicembre 1994, n. 724, prevedeva una revisione periodica dei prezzi sulla base di un’istruttoria condotta dalla stazione appaltante tenendo conto dei prezzi di mercato rilevati dall’Istat, meccanismo poi confermato dall’art. 115 del Decreto Legislativo 12 aprile 2006 n. 163, che prevedeva l’obbligatorio inserimento nei contratti a esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture di una clausola di revisione periodica del prezzo che tenesse conto dei costi standardizzati per tipo di servizi e fornitura. Il codice del 2016, invece, si è limitato, nell’art. 106, a facoltizzare l’inserimento della previsione nei documenti di gara, ma solo a condizione che la modifica del contratto durante il suo periodo di efficacia non fosse tale da alterare le condizioni della gara, dovendo altrimenti essere esperita una nuova procedura di affidamento. Solo di recente, sull’onda della crisi pandemica e della forte impennata dei costi dell’energia e delle materie prime per la guerra in Ucraina, l’istituto è stato reintrodotto con numerose norme speciali (contenute per lo più nella decretazione d’urgenza e nelle ultime leggi annuali di bilancio). Il nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al Decreto Legislativo 31 marzo 2023 n. 36, lo ha nuovamente ammesso a sistema, prevedendo all’art. 60, comma 1, che «Nei documenti di gara iniziali delle procedure di affidamento è obbligatorio l’inserimento delle clausole di revisione prezzi”» (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 13 luglio 2023 n. 6847).
La logica del Decreto Legislativo 18 aprile 2016 n. 50, vigente al tempo dell’adozione dell’atto qui impugnato, era quella di evitare che la clausola revisionale potesse alterare in modo sostanziale il contratto riflettendosi negativamente sulla effettività delle condizioni concorrenziali della gara esperita, sicché la regola generale era il divieto di clausola revisionale salvi i casi derogatori tassativamente previsti, nei quali fosse possibile una revisione «senza una nuova procedura di affidamento», a condizione che tale revisione non apportasse «modifiche che avrebbero l’effetto di alterare la natura generale del contratto o dell’accordo quadro». La norma del 2016, infatti, si raccorda al diritto dell’Unione europea che, a tutela della concorrenza, limita i meccanismi di revisione dei prezzi degli appalti pubblici per evitarne i potenziali effetti elusivi del meccanismo della gara pubblica (art. 72 della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014; Corte di Giustizia 19 giugno 2008, C454/06, 17 settembre 2016, C-549/14, 19 aprile 2018, causa C-152/17). Trattandosi di norma derogatoria del principio della gara, non ne è consentita un’interpretazione analogica ed estensiva, come è del resto esplicitato dalla disposizione contenuta nel comma 6 dell’art. 106, secondo cui “Una nuova procedura d’appalto in conformità al presente codice è richiesta per modifiche delle disposizioni di un contratto pubblico di un accordo quadro durante il periodo della sua efficacia diverse da quelle previste ai commi 1 e 2” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 13 luglio 2023 n. 6847).